
Cosa è: un documento accessibile a tutti, che il Comune può utilizzare nel confronto interno, con i portatori di interesse e con i cittadini.
Le risposte sono state elaborate da ANCI Emilia-Romagna con il supporto di esperti, sulla base di quesiti e stimoli ricevuti da parte di alcuni Comuni.
L’intento è di fornire uno strumento a supporto di valutazioni basate sui fatti e non sulle emozioni o su quello che “hanno detto”, per aiutare tecnici e amministratori a spiegare:
Per la necessità di garantirci un prezzo dell’energia sempre meno sensibile alle fluttuazioni delle fonti fossili, che in Italia non abbiamo, e ridurre le emissioni altamente nocive per la salute pubblica e per il sistema climatico. L’obiettivo nazionale al 2050 è annullare la dipendenza dalle fonti fossili e avere un prezzo dell’energia stabile e controllabile con politiche nazionali. In carenza di impianti per la produzione di energie rinnovabili continuiamo ad essere esposti alle sempre più frequenti crisi geopolitiche, a subire gli effetti dell’andamento dei prezzi dell’energia fossile sui mercati internazionali e a non migliorare la qualità dell’aria della pianura padana. Oggi produciamo solo il 20% dell’energia che consumiamo con fonti rinnovabili. Per arrivare all’obiettivo, previsto dobbiamo rispettare tappe intermedie definite da provvedimenti dell’Unione Europea e dello Stato, che le singole Regioni possono accelerare intervenendo nella propria pianificazione energetica.
Il Comune ha il ruolo meramente amministrativo di valutare il rispetto delle normative sovraordinate. In particolare fa riferimento alla legislazione nazionale che definisce questi impianti di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e alle eventuali integrazioni regionali. Se tali norme sono rispettate, il funzionario comunale deve dare il proprio assenso, perché un diniego esporrebbe sé stesso e il Comune a un ricorso amministrativo e a richieste di danni. La valutazione del Comune ha quindi un carattere tecnico-amministrativo a meno che non siano necessarie varianti urbanistiche. Nel caso di varianti urbanistiche è il Consiglio comunale che si deve esprimere. La decisione del Consiglio – qualunque essa sia – non è conclusiva, in quanto prevalgono le valutazioni espresse in sede di conferenza dei servizi e la decisione dell’ente preposto al rilascio dell’autorizzazione: ARPAE, Regione, Ministero. In questo contesto quindi il ruolo del Comune è di garantire il rispetto delle norme e il maggior bilanciamento possibile tra interesse collettivo e privato, che in questo caso si traduce nel lavorare su prescrizioni di mitigazione e compensazioni economiche o in opere nei limiti previsti dalla legge.
L’intera nazione, e quindi tutte le Regioni devono drasticamente aumentare la capacità di energia rinnovabile e le due tecnologie più efficienti sono eolico e fotovoltaico. In Emilia-Romagna il fotovoltaico è l’unica tecnologia che garantisce la produzione di energia rinnovabile in quantità adeguata ai consumi che abbiamo. Una breve analisi delle altre fonti:
La produzione di energia rinnovabile è un’attività industriale che, nel nostro modello economico attuale, deve produrre profitto per l’investitore, come qualsiasi altra attività industriale, produttiva, immobiliare o commerciale che richiede un significativo investimento iniziale. Il termine speculazione ha, nel senso comune, un’accezione negativa e si potrebbe definire speculazione quando i margini di profitto in un settore sono eccessivamente più elevati di quelli di un altro settore. Il settore dell’energia è un settore industriale complesso ma regolato, e la regolazione ha come obiettivo quello di garantire giusti margini di profitto agli investitori e giusti prezzi ai clienti finali. In Italia il soggetto regolatore è un’autorità nazionale indipendente (ARERA: Autorità di Regolazione Energia, Reti e Ambiente) che deve regolare un sistema nel quale operano moltissimi attori privati con diversi ruoli e in regime concorrenziale e alcuni soggetti pubblici in ruoli cruciali per garantire il funzionamento operativo del sistema: i più rilevanti soggetti pubblici sono GSE, Gestore Servizi Energetici, che controlla i singoli soggetti garantendo il rispetto delle regole, eroga e revoca incentivi, e GME, Gestore Mercati Energetici, che garantisce il funzionamento dei diversi mercati energetici. Questo complesso sistema costituisce garanzia intrinseca sul fatto che la speculazione, nella sua negativa accezione di eccesso di profitti, sia estranea al sistema e che ci siano le condizioni, in caso di mutamenti inattesi della situazione internazionale, di intervenire per riequilibrarlo. Come in ogni contesto economico si può sempre trovare anche qualche operatore privato poco – o per niente – rispettoso delle regole, ma il sistema di controllo, rodato negli anni, è molto articolato.
Per approfondire forse è utile conoscere, a grandi linee, l’ecosistema degli operatori del fotovoltaico e avere qualche informazione sui meccanismi di remunerazione degli impianti.
Semplificando possiamo distinguere 3 ruoli principali, tenendo presente che un unico operatore può contemporaneamente avere più ruoli.
Per completare la panoramica sintetica dei ruoli necessari a far arrivare l’energia fino alle case delle persone, servono: TERNA che gestisce la rete di distribuzione nazionale, i distributori locali, che gestiscono le reti locali, tutte le cabine di trasformazione e i singoli contatori, e i venditori di energia che, anche senza possedere alcuna infrastruttura operano sul mercato all’ingrosso e vendono l’energia al singolo utente. Il tutto è complicato dal fatto che, ad ogni minuto, l’offerta dell’energia deve essere pari al consumo. Questo comporta che sono previsti meccanismi e operatori, che sono trasparenti all’utente finale, che svolgono attività (che devono essere remunerate) per garantire che questo avvenga senza eccessive perdite economiche per il sistema elettrico.
Gli impianti più piccoli (inferiori a 200kW), compresi quelli di singole famiglie, possono vendere l’energia autonomamente sul mercato elettrico o godere del ritiro dedicato del GSE che paga l’energia al prezzo di mercato ora per ora.
Per impianti fino a 1MW, ferma restando la libertà del gestore dell’impianto di vendere l’energia sul mercato o a un altro soggetto privato, c’è la possibilità di accedere, senza procedure competitive e sulla base di tariffe definite da ARERA, a un meccanismo che garantisce una tariffa minima definita da ARERA: quando il prezzo di mercato supera la tariffa minima il gestore dell’impianto deve restituire la differenza al GSE, quando il prezzo di mercato è minore della tariffa minima il GSE eroga un conguaglio fino a raggiungere la tariffa minima. Il meccanismo si chiama “compensazione a due vie” ed è noto anche come “contratti per differenza” (CFD è l’acronimo inglese).
Per gli impianti più grandi (maggiori di 1MW) vale lo stesso meccanismo di compensazione a due vie dove però la tariffa minima è definita da una procedura competitiva gestita dal GSE: ogni impianto offre una tariffa che ritiene adeguata per remunerare il proprio impianto, viene stilata una graduatoria, e le tariffe più basse risultano vincitrici e godono della garanzia di remunerazione minima.
Il meccanismo di compensazione a due vie, in sostanza, garantisce a chi ha investito nell’impianto una giusta remunerazione dell’investimento anche nel caso in cui il prezzo di mercato dell’energia cali oltre una certa soglia, ma nel contempo, in caso di prezzi dell’energia sul mercato oltre quella soglia recupera le risorse dal gestore dell’impianto. Il fondo che riceve i flussi di denaro in entrata e uscita è gestito da ARERA ed è contabilizzato nel sistema tariffario tra gli oneri di sistema.
Facciamo un esempio per un impianto oltre 1MW:
Il meccanismo di compensazione a due vie costituisce l’attuale sistema di incentivazione, che invece di pagare l’energia stabilmente a un prezzo elevato (era il caso dei vecchi incentivi per le rinnovabili) lo fa solo quando serve a garantire la sostenibilità economica dell’impianto qualora i prezzi del mercato si abbassino troppo. Di questo meccanismo si potrà fare a meno quando il mercato dell’energia, che dipende da variabili internazionali e fuori controllo, si stabilizzerà ad un valore che garantisce l’accesso all’energia per gli utenti e la remunerazione del capitale per gli investitori.
Meccanismi analoghi di stabilizzazione dell’equilibrio economico, ancora più complessi e articolati, sono previsti anche per diverse tipologie di operatori: ad esempio le centrali turbogas (e oggi anche i sistemi di accumulo elettrochimico, cioè le batterie) che devono intervenire quando serve e per il restante tempo rimanere spente, godono di un sistema di incentivazione, anche questo regolato da procedure competitive (denominato capacity market) a garanzia del minor costo possibile per il sistema elettrico.
Analoghi meccanismi incentivanti sono previsti anche nel mercato del gas per premiare altri tipi di comportamenti (es: stoccaggi) che, senza un meccanismo che ne garantisca la remunerazione, sarebbero antieconomici.
Perchè la superficie complessiva di tutti i tetti di case e imprese effettivamente utilizzabili non è comunque sufficiente a coprire il fabbisogno energetico e a raggiungere gli obiettivi fissati. Nel contempo è più che opportuno utilizzare i tetti esistenti per produrre energia con il fotovoltaico (e il solare termico ove adeguato). Ma dobbiamo tenere conto di un dato di fatto: i tetti degli edifici esistenti sono di proprietà di privati – famiglie e imprese – che decidono autonomamente se installare il fotovoltaico o meno anche se oggi è già economicamente conveniente farlo in tutti gli edifici in cui c’è consumo di energia, riducendo così i costi della propria bolletta.
Per tutte le nuove costruzioni è da tempo obbligatorio prevedere quote crescenti di energia rinnovabile, mentre una recente direttiva europea (non ancora recepita in Italia) definisce livelli ancora più elevati e obblighi crescenti anche per le coperture degli immobili non residenziali esistenti (commercio, industria, PMI). Ma tali obblighi devono tenere conto che non tutti i tetti sono adeguati per vincoli oggettivi (statici, cioè capacità del tetto di sostenere l’intervento, di esposizione, cioè di orientamento e ombreggiamenti) e vincoli soggettivi (situazioni proprietarie complesse, fallimenti, pignoramenti..).
Gli operatori del fotovoltaico devono tenere conto di diversi fattori che influenzano la fattibilità tecnica ed economica degli impianti: individuare aree considerate idonee per legge, contrattare con i singoli proprietari la disponibilità dei terreni, predisporre la connessione alla rete. I grandi impianti devono essere connessi direttamente alla rete di TERNA (ad altissima tensione) che ha in Emilia-Romagna poco più di 200 punti di connessione. Per raggiungere uno di questi punti di connessione è necessario realizzare un collegamento il cui costo è legato alla distanza: più è lontano e più costa. Questo spiega la maggiore densità di impianti e di domande vicino ai punti disponibili per la connessione.
Distribuire l’energia elettrica è molto costoso: le nuove infrastrutture necessarie a trasportare grandi quantità di energia da sud a nord e le perdite di rete renderebbero il sistema elettrico nazionale un costo enorme che sarebbe poi scaricato sulla bolletta degli utenti. Produrre energia in prossimità dei consumi riduce invece i costi dell’intera infrastruttura con impatti positivi sulla bolletta dei singoli utenti. Si stanno comunque rafforzando le reti di interconnessione, ma è antieconomico dimensionarle per il trasporto al nord di energia prodotta al sud, se non per quote residuali. Quindi i nuovi impianti vanno realizzati il più possibile vicino alle aree che devono servire.
ISPRA classifica il fotovoltaico a terra come un uso del suolo reversibile: mentre una copertura artificiale permanente (cemento, asfalto…) azzera per sempre tutti i servizi ecosistemici del suolo, la copertura con fotovoltaico riduce solo alcuni servizi ecosistemici e solo per la durata del ciclo di vita dell’impianto (25-30 anni) mantenendo ad esempio il sottosuolo, la biodiversità, la permeabilità e la copertura vegetale. Con la dismissione dell’impianto il suolo torna pienamente disponibile.
L’agrivoltaico è un fotovoltaico la cui disposizione, altezza e densità consente di coniugare la produzione di cibo con la produzione di energia per ridurre al minimo l’impatto sull’attività agricola e rendere compatibili entrambe le attività. E’ una tecnologia ampiamente analizzata in letteratura scientifica da qualche decennio, che sta trovando recentemente applicazioni su larga scala. Sono state definite linee guida nazionali ed è in corso la formalizzazione di uno standard UNI. Ne esistono diverse tipologie, ma al di là delle definizioni, dagli studi emerge che la conduzione bilanciata del sistema integrato agricolo e energetico può creare una nuova forma di attività “ibrida” che abilita pratiche di agricoltura di precisione vantaggiose: riduzione delle necessità irrigue, riduzione delle alte temperature dovute all’irraggiamento diretto in tempi di cambiamenti climatici, ecc. La redditività economica della produzione energetica a fronte di quella agricola potrebbe far prevalere l’attenzione del conduttore solo sulla prima: ecco perché è necessario garantire il mantenimento dell’attività agricola fin dalla fase di progettazione e poi con adeguati monitoraggi durante l’esercizio, come previsto dalla norma che prevede che il progetto sia corredato da un piano colturale (o piano aziendale) asseverato da un agronomo e relativo piano di monitoraggio.
Le diverse tipologie di agrivoltaico vanno declinate in base ai contesti. Garantiscono la coesistenza di entrambe le attività – produzione energetica e agricola/zootecnica – con costi di installazione, di gestione e produttività variabili in base al tipo di attività agricola e di colture (frutteto, orticole, seminativo, foraggio…). In base alle linee guida nazionali e semplificando si possono identificare tre tipologie:
I costi per la realizzazione di un impianto agrivoltaico sono significativamente più elevati di quelli per un impianto a terra ed essendo disposto in filari distanziati questo occupa più spazio a parità di produzione energetica. Serve inoltre un imprenditore agricolo disposto a gestire questo tipo di integrazione che ha un livello di complessità superiore a quello di una semplice azienda agricola o zootecnica. Ne consegue che l’energia prodotta da un impianto agrivoltaico ha un costo industriale significativamente più alto di quella prodotta da un impianto a terra. Tale costo maggiore inciderà sulla nostra bolletta futura. Quindi ove possibile, soprattutto in aree degradate o marginali, il fotovoltaico a terra è la soluzione migliore per il sistema energetico nazionale.
I costi di connessione alla rete e le economie di scala rendono meno costoso produrre energia in un impianto di grandi dimensioni: per esempio, un singolo kWh prodotto da un grande impianto di 150MW costa la metà rispetto a un kWh prodotto in un impianto da 15MW (che è 10 volte più piccolo). Questo significa due cose: da un lato l’investitore con l’impianto più grande può accettare condizioni di vendita dell’energia che produce a un prezzo più basso, mentre chi ha l’impianto più piccolo non può permettersi di vendere l’energia sotto un certo prezzo. E quindi anche la dimensione degli impianti avrà un impatto sulle nostre bollette future. Questo non vuol dire che impianti più piccoli, ben integrati in una produzione agricola ad alta redditività, siano da considerare fuori mercato: dipende dal livello di integrazione e sinergie tra l’attività agricola e la produzione di energia e dal livello di autoconsumo dell’attività.
La legislazione nazionale prevede che il proponente si faccia carico di un “programma di compensazioni territoriali non inferiore al 2% e non superiore al 3% dei proventi” dell’impianto durante il suo ciclo produttivo. E’ inoltre previsto che l’impianto sia accatastato come “opificio” (categoria catastale D1) e quindi versi l’IMU corrispondente secondo l’aliquota fissata dal Comune. Lo Stato trattiene la gran parte di tale importo (oltre il 70%), mentre la quota restante va al Comune ed è destinabile a vantaggio della comunità.
Perché il prezzo è attualmente definito dai costi di produzione delle centrali a gas che sono soggette alle fluttuazioni e alle speculazioni dei mercati internazionali su questa materia prima. Il meccanismo che determina il prezzo finale è definito dalle regole di funzionamento del mercato elettrico concordate tra tutti i governi dell’UE e quindi fissate a livello europeo. Per poter modificare il meccanismo senza creare malfunzionamenti al sistema di produzione di energia elettrica complessivo, bisogna che la quota di energie rinnovabili aumenti significativamente rendendo il contributo delle centrali a gas sempre meno rilevante. Ad esempio attualmente in Italia l’energia elettrica è già prodotta per circa il 40% da fonti rinnovabili, ma la restante quota è ancora coperta principalmente da centrali a gas. In sostanza, gli impianti che si stanno realizzando in questi anni definiscono il prezzo dell’energia del futuro e non ancora quello del presente. In altri termini: se non facciamo impianti rimaniamo esposti alle fluttuazioni delle risorse fossili sui mercati internazionali, a loro volta esposti alle crisi geopolitiche sempre più frequenti.
L’acquisto dei pannelli dall’estero è solo una quota del costo di realizzazione dell’impianto. L’acquisto viene fatto una volta sola e poi produce energia per 25-30 anni. La realizzazione dell’impianto fornisce lavoro a progettisti e tecnici e genera gettito fiscale, mentre la gestione dell’impianto genera una quantità residuale di lavoro manutentivo nel tempo, ma produce comunque gettito fiscale. Nel frattempo, con grande ritardo, si sta cercando di sviluppare un’industria europea del fotovoltaico e dei sistemi di accumulo che possa sostenere le future installazioni. Il consumo di energia legato alle fonti fossili, invece, ci mantiene sempre e comunque in una condizione di dipendenza da altri paesi.
Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) rappresentano uno strumento rilevante per aumentare la produzione (e la quota di consumo) di energia da fonti rinnovabili con il coinvolgimento attivo di cittadini, imprese, terzo settore ed enti pubblici territoriali, primi fra tutti i comuni.
L’incentivazione economica dell’energia condivisa – quella prodotta da impianti inferiori a 1 MW e consumata nella stessa fascia oraria nel perimetro della stessa cabina primaria – intende creare un circolo virtuoso nel quale l’aumento progressivo del numero dei soci della CER rende conveniente per gli investitori (produttori, imprese, famiglie) realizzare nuovi impianti.
Mettendo a disposizione superfici non altrimenti utilizzabili – quali parcheggi, pensiline, tetti di edifici pubblici – gli enti pubblici territoriali possono ricavare un beneficio economico diretto grazie alla remunerazione delle superfici rese disponibili e un beneficio collettivo derivante dalla quota di energia rinnovabile prodotta e consumata localmente. Le infrastrutture degli impianti possono inoltre essere impiegate per ulteriori servizi alla collettività, dai sistemi di videosorveglianza all’illuminazione, dalle colonnine di ricarica per veicoli elettrici alla sensoristica di presenza.
I pannelli fotovoltaici sono composti degli stessi materiali della maggior parte degli elettrodomestici: vetro, alluminio, silicio (che è sostanzialmente sabbia), piccole quantità di rame e resine sintetiche. Al momento possono essere smaltiti con un impatto molto limitato – nemmeno lontanamente paragonabile a quello dell’uso di fonti fossili – e riciclati solo parzialmente. Le filiere e le tecnologie di riciclo si stanno però sviluppando rapidamente e possiamo prevedere che a breve si riuscirà a recuperare gran parte del materiale riavviandolo a nuove produzioni in un’ottica di economia circolare. Per quanto riguarda le batterie il discorso è molto simile, in particolare le grandi batterie per le auto e i sistemi di accumulo hanno una vita operativa molto lunga e possono già oggi essere riciclate con vantaggio economico, a differenza dei milioni di minuscole batterie inserite nei tantissimi gadget tecnologici che si stanno diffondendo rapidamente che spesso non vengono smaltiti correttamente e che per dimensioni e integrazioni costruttive, non vengono avviate ad un’adeguata gestione dopo la loro esistenza operativa
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